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L’architettura come scienza del comportamento umano: un manifesto necessario di Piero Luigi Carcerano




Nel panorama spesso autoreferenziale della critica architettonica, dominata da estetismi, narrazioni iconiche e fascinazioni formali, l’articolo firmato da Piero Luigi Carcerano "l'architettura come scienza del comportamento umano" si impone come un manifesto controcorrente, lucido e coraggioso. 

A partire da una riflessione sul Centre Pompidou di Parigi, il testo si trasforma rapidamente in una critica radicale al modo in cui oggi si concepisce, insegna e pratica l’architettura. Carcerano si fa interprete di un’urgenza culturale: restituire all’architettura la sua funzione primaria, quella di essere uno strumento di conoscenza e trasformazione del comportamento umano nello spazio. Il suo appello è tanto filosofico quanto scientifico. 
Non bastano le superfici lucide, le geometrie ardite, le citazioni storiche e naturali: ciò che manca – e che l’autore rivendica – è una fondazione epistemologica solida, capace di restituire senso, funzione e responsabilità al progetto architettonico. 
 Con rigore e passione, Carcerano denuncia lo svuotamento di significato che colpisce gran parte della produzione contemporanea. Non si limita alla denuncia, però: propone un’alternativa concreta e strutturata. 

L’architettura, afferma, deve diventare una scienza a pieno titolo, e non solo nel senso tradizionale di geometria e statica, ma come disciplina che integra neuroscienze, biologia, cibernetica, logica fuzzy, scienze cognitive. L’architettura è, in questa visione, un organismo vivente, un sistema adattivo che deve rispondere non alle mode né ai diktat commerciali, ma ai bisogni reali, ai gesti, alle emozioni e alle memorie dell’essere umano. La sua riflessione si riallaccia con intelligenza al pensiero rinascimentale di Daniele Barbaro e al concetto vitruviano di architettura come scientia, rilanciandolo però in chiave contemporanea e interdisciplinare. È un invito a riformulare anche la formazione accademica, troppo spesso improntata alla mera composizione formale, e a riportare al centro l’educazione al comportamento, alla percezione, al clima sociale e culturale in cui l’architettura prende vita. Nel testo, emerge anche un forte messaggio etico: l’architettura come atto di responsabilità. 

Non un esercizio individualista, ma una pratica collettiva, una scienza dell’abitare che deve rispondere alla sfida epocale della disumanizzazione degli spazi urbani, oggi sempre più omologati e funzionali solo al consumo. 

La città, ricorda Carcerano, non è un contenitore: è un organismo vivente, e deve respirare insieme ai suoi abitanti. Il testo è di straordinaria densità concettuale, ma al tempo stesso accessibile e coinvolgente. 

La sua forza sta nell’interconnessione tra filosofia e progetto, tra teoria e prassi, tra critica e proposta. E in un momento storico in cui la sostenibilità viene spesso declinata in chiave tecnica o normativa, Carcerano ci ricorda che la vera sostenibilità è umana, prima ancora che ambientale: progettare spazi capaci di rispondere e adattarsi al corpo, alla mente e all’anima delle persone. Con questo articolo, Piero Luigi Carcerano rilancia una visione dell’architettura non come arte decorativa, né come espressione di potere, ma come scienza applicata alla vita reale. Una visione che ha il coraggio di rimettere in discussione paradigmi consolidati e che chiede a gran voce una rivoluzione culturale che coinvolga architetti, urbanisti, docenti e cittadini. Un contributo prezioso, necessario, destinato a far riflettere e – ci auguriamo – a cambiare il modo in cui pensiamo e viviamo gli spazi. 

Frontiere Design (Per Interiorissimi, giugno 2025)

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